E' emozione correre su e giù tra i muretti, scovando le scritte che han reso così famoso un luogo tanto piccolo e ristretto, ma così ampio di clichè e scaltrezza da diventar mito tanto per l'enonauta principiante, quanto per l'irriducibile dei così detti esperti:vosnè romanée, echezeaux, grand echezeaux, vougeot e le cancellate sfiziose di Jadot, Fevelay a voler scommettere su chi fà il migliore nettare degli Dei...
Continuavo a girovagar senza meta saltando i ciottoli, seguendo i sassolini bianchi come in una fiaba, scivolando nell'erbetta tra i filari ed eppur quel poliedrico disegno di secolare interazione uomo-natura destava in me una flebile perplessità in netto contrasto con tutte le dimostrazioni di compattezza comunicativa ricevute durante le varie degustazioni di Les Grands Jours.
Tutte le sale erano state allestite in modo tale da permetterci di correre lungo la route 74 scandendo nei nostri palati un Grand Cru dopo l'altro, stringendo la mano a tutti i produttori, collezionando listini, brochures, biglietti da visita e l'entusiasmo di far parte, anche se solo per qualche giorno, del gotha del mondo vitivinicolo.
Ma quelle corse continuavano a tormentarmi insieme alla vera parola tormentone che da queste parti infiamma anche gli animi più inerti:terroir!
In Bourgogna i prezzi dei vini si fanno all'asta di novembre all'Hospices de Beaune e si definiscono nei vari passaggi dai negociants agli scaffali per la clientela finale l'anno successivo; già durante queste kermesse sono ben scanditi in funzione dell'appellazione. In genere, tranne i 2/3 domaine per lussuriosi danarosi, la gran parte dei produttori mantiene un prezzo molto simile per la medesima appellazione.
Un'appellazione può benissimo essere non più grande di 1 ettaro ed in 1 ettaro possono benissimo starci 50 produttori differenti:il Grand cru di Vougeot è uno dei più grandi(11h), ma è sicuramente uno dei più rappresentativi delle contraddizioni ed incomprensioni che s'incontrano quando si cerca di comprare un buon Borgogna in giro per il mondo.
Si tende sempre a chiedere un grand cru o premier cru, il 10% c.ca della produzione totale della cote de Nuits, fidandosi del sistema francese di classificazione ed impennando all'ennesima il prezzo della sua punta della piramide. E' vero: spesso non si sbaglia, anche se sembra sempre di pagare "troppo", perchè si paga per il mito, per farsi belli con i colleghi, per assaporare il sentito dire e per l'apprezzamento di un ottimo livello medio d'eleganza e godimento.
Ma alla fine qual'è il parametro/concetto di scelta sul quale è più utile dimenarsi e che qui si vende come apposizione di fede?questo benedetto TERROIR, decantato ad ogni occasione dal contadino più rustico fino al conte più raffinato e formalizzato in Borgogna tramite le classificazioni regional, village, pemier e grand cru, è una garanzia sufficiente per regalare emozioni uniche in linea con i denari scuciti dal portafoglio?
Probabilmente è necessaria:
Il rebus del terroir in questa landa malmenata e baciata dalla storia, assume piuttosto i contorni di un puzzle.
Mentre zampetto tra i ceppi non riesco proprio ad inquadrare la situazione:
alternanze ristrette di terreni inerbiti, sovesciati, denudati; arature ora appena accennate, ora profondissime intorno all'apparato radicale; potature a royat, speronate; geometrie difformi, con filari correnti per tutta la rosa dei venti...perfino le modalità di arricchimento della terra scelte dai proprietari conferiscono ad essa gli stessi connotati di un'alrecchino in cartapesta.
Questa è landa di persone profondamente innamorate del lavoro, che certamente dà loro anche grande ricchezza, ed ultimamente pare diffusa una maggiore sensibilità e rispetto verso la terra attraverso colture meno invasive possibili.
Ma qui alla fine ognuno fà il suo e se ne infischia dell'erba del vicino almenochè non lo aiuti a vendere qualche boccia in più a maggior prezzo, o non si sveli infine un giornalista! E così s'inerpica un dibattito infinito tra gli anfitrioni di questa e quell'altra filosofia, ma il dubbio è su quanto davvero valgano le certificazioni in una vigna di un ettaro tra i cui filari maneggiano e s'affannano 50 proprietari, radicati da generazioni in uno 0,15 di ettaro con il tentativo di farlo rendere al meglio!?il biodinamico, accanto al convenzionale?appicicato?come è possibile garantire la non contaminazione reciproca?
La rinnovata spinta organica e biodinamica anche in questa zona è un giusto paradigma al quale affidarsi?
Oramai il vino non può essere più catalogato come indispensabile alimento ed è forse un pò ipocrita il consumatore che predilige questo sfizio per il fatto che sia "naturale" piuttosto che buono per poi berne mezzo dito a pasto o durante i pantagruelici pranzi domenicali.
Fortunatamente val sempre di più il principio del rispetto della terra e quindi del terroir, dettato dalla voglia di rendere perenne questo fulcro di grande fervore enologico.
In tal senso le contaminazioni recoproche diventano meno inquinanti ed a volte un valore aggiunto.
Ma chi e cosa allora determina la differenza? Qui Mario Soldati ci aiuta solo a metà: lui riteneva che solo dalla quarta generazione di vigneron in poi, nella stessa zona di produzione, si poteva cominciare a parlare di anima del vino di quella terra.
La Borgogna in tal senso ne è una dimostrazione ultrasecolare, dove molte famiglie si spartirono le terre della chiesa dopo la rivoluzione francese, iniziando così questo doppio percorso di caratterizzazione e coesione. Ognuno cercava di contraddistinguere il proprio nome mentre tutti desideravano far risaltar agli occhi del mondo quel lembo di paradiso.
Questo spirito è tutt'oggi intatto ed alcuni rampolli di famiglia sono diventati raffinatissimi vigneron in grado d'esaltare i loro vini ben oltre gli ostacoli incontrati dai rispettivi padri.
Generazioni hanno ottimizzato cloni, portainnesti, lieviti, tecniche di potatura e soprattutto azioni e tempistiche in funzione della variabile climatica. Questi nomi sono una garanzia e tal garanzia si paga cara, spesso sono vicini l'uno all'altro ed hanno varie appellazioni, con pochi filari ognuna, da un paio di barriques fino ad un paio d'ettari i più fortunati.
In genere tra i loro prodotti si scopre un filo conduttore ed è innegabile la scala gerarchica della qualità notevolmente in linea con quella decisa dalla FIDIA(grand cru,1er,village,regional) anche in annate "disgraziate".
Ma l'altro aspetto lampante tra gli sguardi incrociati in quei giorni è che attorno a quei plurigenerazionali rettangolini espressivi di gran godimento, esistono anche tanti altri baciati dal Fato:
qui anche i figli di grandi vigneron che s'eran dedicati più che altro a sperperar il patrimonio, oggi improvvisati ed un pò sciattoni tra i tralci, gli spocchiosi ricconi insediatisi da pochi anni a suon di milioni di euro e desiderosi di far tendenza etc...han trovato il loro Eden. Assaggiandone i campioni, comprendo che è qui che la fortuna entra in gioco mentre il concetto di terroir mi risulta più evidente.
Un terroir di qualità è quella zona in cui la media qualitativa dei prodotti è percepita più elevata rispetto ad altri circostranti a prescindere da chi e come ci mette le mani. Sembra banale, ma trovarli necessita sempre un colpo di fortuna mentre farci un vino sgradevole è veramente difficile quando invece anche la tecnica più sopraffina fatica al di là di quella minuscola faglia.
sì ALLA FINE TERROIR è PROPRIO QUEL CHE DI IMPRENDIBILE, non misurabile, contraddistinto da quel mix d'immutabile ed estrema variabilitità in grado di render un prodotto di qualità anche "quasi" per caso...ma questo, sbaglio o può valere un pò IN TUTTO IL MONDO?!
Di seguito la definizione ufficiale di terroir secondo il Bureau Interprofessionnele des Vins de Bourgogne(BIVB) e la suddivisione di Clos Vougeot tra le varie Maison:
Continuavo a girovagar senza meta saltando i ciottoli, seguendo i sassolini bianchi come in una fiaba, scivolando nell'erbetta tra i filari ed eppur quel poliedrico disegno di secolare interazione uomo-natura destava in me una flebile perplessità in netto contrasto con tutte le dimostrazioni di compattezza comunicativa ricevute durante le varie degustazioni di Les Grands Jours.
Tutte le sale erano state allestite in modo tale da permetterci di correre lungo la route 74 scandendo nei nostri palati un Grand Cru dopo l'altro, stringendo la mano a tutti i produttori, collezionando listini, brochures, biglietti da visita e l'entusiasmo di far parte, anche se solo per qualche giorno, del gotha del mondo vitivinicolo.
Ma quelle corse continuavano a tormentarmi insieme alla vera parola tormentone che da queste parti infiamma anche gli animi più inerti:terroir!
In Bourgogna i prezzi dei vini si fanno all'asta di novembre all'Hospices de Beaune e si definiscono nei vari passaggi dai negociants agli scaffali per la clientela finale l'anno successivo; già durante queste kermesse sono ben scanditi in funzione dell'appellazione. In genere, tranne i 2/3 domaine per lussuriosi danarosi, la gran parte dei produttori mantiene un prezzo molto simile per la medesima appellazione.
Un'appellazione può benissimo essere non più grande di 1 ettaro ed in 1 ettaro possono benissimo starci 50 produttori differenti:il Grand cru di Vougeot è uno dei più grandi(11h), ma è sicuramente uno dei più rappresentativi delle contraddizioni ed incomprensioni che s'incontrano quando si cerca di comprare un buon Borgogna in giro per il mondo.
Si tende sempre a chiedere un grand cru o premier cru, il 10% c.ca della produzione totale della cote de Nuits, fidandosi del sistema francese di classificazione ed impennando all'ennesima il prezzo della sua punta della piramide. E' vero: spesso non si sbaglia, anche se sembra sempre di pagare "troppo", perchè si paga per il mito, per farsi belli con i colleghi, per assaporare il sentito dire e per l'apprezzamento di un ottimo livello medio d'eleganza e godimento.
Ma alla fine qual'è il parametro/concetto di scelta sul quale è più utile dimenarsi e che qui si vende come apposizione di fede?questo benedetto TERROIR, decantato ad ogni occasione dal contadino più rustico fino al conte più raffinato e formalizzato in Borgogna tramite le classificazioni regional, village, pemier e grand cru, è una garanzia sufficiente per regalare emozioni uniche in linea con i denari scuciti dal portafoglio?
Probabilmente è necessaria:
Il rebus del terroir in questa landa malmenata e baciata dalla storia, assume piuttosto i contorni di un puzzle.
Mentre zampetto tra i ceppi non riesco proprio ad inquadrare la situazione:
alternanze ristrette di terreni inerbiti, sovesciati, denudati; arature ora appena accennate, ora profondissime intorno all'apparato radicale; potature a royat, speronate; geometrie difformi, con filari correnti per tutta la rosa dei venti...perfino le modalità di arricchimento della terra scelte dai proprietari conferiscono ad essa gli stessi connotati di un'alrecchino in cartapesta.
Questa è landa di persone profondamente innamorate del lavoro, che certamente dà loro anche grande ricchezza, ed ultimamente pare diffusa una maggiore sensibilità e rispetto verso la terra attraverso colture meno invasive possibili.
Ma qui alla fine ognuno fà il suo e se ne infischia dell'erba del vicino almenochè non lo aiuti a vendere qualche boccia in più a maggior prezzo, o non si sveli infine un giornalista! E così s'inerpica un dibattito infinito tra gli anfitrioni di questa e quell'altra filosofia, ma il dubbio è su quanto davvero valgano le certificazioni in una vigna di un ettaro tra i cui filari maneggiano e s'affannano 50 proprietari, radicati da generazioni in uno 0,15 di ettaro con il tentativo di farlo rendere al meglio!?il biodinamico, accanto al convenzionale?appicicato?come è possibile garantire la non contaminazione reciproca?
La rinnovata spinta organica e biodinamica anche in questa zona è un giusto paradigma al quale affidarsi?
Oramai il vino non può essere più catalogato come indispensabile alimento ed è forse un pò ipocrita il consumatore che predilige questo sfizio per il fatto che sia "naturale" piuttosto che buono per poi berne mezzo dito a pasto o durante i pantagruelici pranzi domenicali.
Fortunatamente val sempre di più il principio del rispetto della terra e quindi del terroir, dettato dalla voglia di rendere perenne questo fulcro di grande fervore enologico.
In tal senso le contaminazioni recoproche diventano meno inquinanti ed a volte un valore aggiunto.
Ma chi e cosa allora determina la differenza? Qui Mario Soldati ci aiuta solo a metà: lui riteneva che solo dalla quarta generazione di vigneron in poi, nella stessa zona di produzione, si poteva cominciare a parlare di anima del vino di quella terra.
La Borgogna in tal senso ne è una dimostrazione ultrasecolare, dove molte famiglie si spartirono le terre della chiesa dopo la rivoluzione francese, iniziando così questo doppio percorso di caratterizzazione e coesione. Ognuno cercava di contraddistinguere il proprio nome mentre tutti desideravano far risaltar agli occhi del mondo quel lembo di paradiso.
Questo spirito è tutt'oggi intatto ed alcuni rampolli di famiglia sono diventati raffinatissimi vigneron in grado d'esaltare i loro vini ben oltre gli ostacoli incontrati dai rispettivi padri.
Generazioni hanno ottimizzato cloni, portainnesti, lieviti, tecniche di potatura e soprattutto azioni e tempistiche in funzione della variabile climatica. Questi nomi sono una garanzia e tal garanzia si paga cara, spesso sono vicini l'uno all'altro ed hanno varie appellazioni, con pochi filari ognuna, da un paio di barriques fino ad un paio d'ettari i più fortunati.
In genere tra i loro prodotti si scopre un filo conduttore ed è innegabile la scala gerarchica della qualità notevolmente in linea con quella decisa dalla FIDIA(grand cru,1er,village,regional) anche in annate "disgraziate".
Ma l'altro aspetto lampante tra gli sguardi incrociati in quei giorni è che attorno a quei plurigenerazionali rettangolini espressivi di gran godimento, esistono anche tanti altri baciati dal Fato:
qui anche i figli di grandi vigneron che s'eran dedicati più che altro a sperperar il patrimonio, oggi improvvisati ed un pò sciattoni tra i tralci, gli spocchiosi ricconi insediatisi da pochi anni a suon di milioni di euro e desiderosi di far tendenza etc...han trovato il loro Eden. Assaggiandone i campioni, comprendo che è qui che la fortuna entra in gioco mentre il concetto di terroir mi risulta più evidente.
Un terroir di qualità è quella zona in cui la media qualitativa dei prodotti è percepita più elevata rispetto ad altri circostranti a prescindere da chi e come ci mette le mani. Sembra banale, ma trovarli necessita sempre un colpo di fortuna mentre farci un vino sgradevole è veramente difficile quando invece anche la tecnica più sopraffina fatica al di là di quella minuscola faglia.
sì ALLA FINE TERROIR è PROPRIO QUEL CHE DI IMPRENDIBILE, non misurabile, contraddistinto da quel mix d'immutabile ed estrema variabilitità in grado di render un prodotto di qualità anche "quasi" per caso...ma questo, sbaglio o può valere un pò IN TUTTO IL MONDO?!
Di seguito la definizione ufficiale di terroir secondo il Bureau Interprofessionnele des Vins de Bourgogne(BIVB) e la suddivisione di Clos Vougeot tra le varie Maison:
Le terroir, en Bourgogne, est le fondement de l'appellation d'Origine controlée.C'est un concept large qui englobe:
-des facteurs naturales:le sous-sol et le sol, dans lesquels la vigne puise ses substances nutritives, l'expositio de la parcelle, son altitude, la profondeur et le drainage du sol, les conditions climatiques de l'année, le micro climat,
-del facteurs humains: choix et mise en pratique des methodes culturales, de la taille aux vendanges puis dans la cave lors du processus de vinification ed d'élevage du vin...
ca va sans dire!
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